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Ciao Kobe: sei stato l’esempio di come si può crescere nelle difficoltà

Ciao Kobe: Sei Stato L’esempio Di Come Si Può Crescere Nelle Difficoltà

Lo sport è fantastico. Ci permette di avere idoli e personaggi da imitare anche se abitano a migliaia di chilometri da noi e non vedremo mai nella nostra vita. Punti di riferimento che fanno parte della nostra quotidianità. Con queste persone si creano legami forti, tanto che quando li vedi giocare il cuore batte forte e salgono le emozioni.

Kobe Bryant era uno di questi personaggi. Un campione, quasi un amico, forse perché parlava italiano in maniera così fluente da farlo sembrare un nostro connazionale, ma soprattutto, perché aveva un modo di fare unico, non certo da stella planetaria dello sport.

Non era un personaggio Kobe. Era una persona tranquilla, un ‘antidivo’ che amava la pallacanestro in maniera viscerale come poi ha raccontato nel suo cortometraggio ‘Dear Basketball’ che gli ha fatto vincere un Oscar, avendola scoperta da piccolo grazie a suo padre Joe, che ai tempi giocava a Reggio Emilia. A soli 3 anni ha iniziato a conoscerla e a divertirsi, già con l’idea che un giorno sarebbe andato nell’NBA.

Kobe era un predestinato. Passò dall’high school all’NBA saltando il college e in questo mondo entrò in punta di piedi: tredicesima scelta nel 1996. Scelto dagli Charlotte Hornets, venne subito ceduto ai Los Angeles Lakers con cui nacque una storia d’amore lunga 20 anni, fatta di tante gioie, ma anche di delusioni, vissute comunque sempre a testa alta. Avrebbe potuto cambiare squadra nei momenti duri e invece è rimasto a vestire la canotta gialloviola, perché quella era la sua seconda pelle.

I cinque anelli vinti da protagonista, le due medaglie olimpiche e i record conquistati sono però soltanto una parte di quello che ci ha insegnato e regalato. Kobe ha sempre mostrato come ci si possa rialzare dai momenti negativi, sfruttandoli per fortificarsi e maturare: una resilienza che lo ha fatto diventare una leggenda. Del resto una delle sue frasi più celebri è “Se non credi in te stesso, chi ci crederà?”.

Ne ha vissuti di momento difficili Kobe a livello personale e sportivo e soltanto nel 2015 si è dovuto arrendere, dicendo basta alla pallacanestro, una volta capito che il suo fisico non gli avrebbe più consentito di essere il Black Mamba (suo storico soprannome) che lo aveva fatto diventare una delle stelle dell’NBA di tutti i tempi.

Come non ricordare poi la sua ultima partita: quel 14 aprile 2016 quando segnò 60 punti allo Staples Center di Los Angeles contro gli Utah Jazz, con gli occhi di tutto il mondo addosso. Occhi lucidi sia per l’emozione sia per la tristezza di non poterlo più rivedere in campo.

Poi l’incredibile e assurda morte, avvenuta a soli 41 anni insieme all’amata figlia tredicenne Gianna, con cui è ritratto in tante foto struggenti: i due sono sempre sorridenti e con l’immancabile pallone tra le mani.

Kobe se ne è andato mentre si stava recando in elicottero alla Mamba Academy per giocare a basket, il suo grande amore di tutta una vita.

“Caro basket, dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzini di mio padre e a lanciare immaginari tiri della vittoria nel Great Western Forum ho saputo che una cosa era reale: mi ero innamorato di te“.

Ciao Kobe

Luca Del Favero

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